Coast to Coast Stati Uniti
da New York a Los Angeles
New York
Niagara Falls
Shipshewana
Sioux Falls
Monte Rushmore
Yellowstone National Park
Antelope Canyon e Horseshoe bend
Grand Canyon
Williams – Route 66
Las Vegas
Extraterrestrial Highway
Yosemite National Park
San Francisco
Los Angeles
Giorno 1
Sveglia alle 8:00, partenza da Malpensa alle 13:30 e una valigia ancora da preparare. Ovvio, perchè se si prepara la valigia troppo presto, i vestiti si sciupano. Tanto di sicuro avrò dimenticato qualcosa.
Ancora non ci credo che passerò un mese negli Stati Uniti!
Io e la mia mamma (my best travelmate ♡) siamo pronte per il viaggio più avventuroso di sempre!
Si parte. Malpensa – Lisbona e poi Lisbona – New York. Per un totale di 11 ore di volo. Devastante.
Lo schermo davanti al sedile proponeva film, musica, giochi e quant’altro, e dopo essermi vista “Batman – il cavaliere oscuro” (erano l’unico film in italiano), e essermi sparata tutto l’ultimo album di Ed Sheeran , il jet lag ha preso il sopravvento e sono stata brutalmente svegliata da 20 minuti abbondanti di turbolenza.
Siamo atterrati a NY che erano le 20:00, mentre in Italia era già notte fonda.
Ci abbiamo messo più tempo a uscire dall’aeroporto, direttamente proporzionale alla grandezza della città di New York, che a fare tutto il volo.
Finalmente riusciamo a capire dove andare per prendere un Taxi. Il nostro tassista Muhammad, senza troppe domande, ci porta al nostro hotel nel Queens. Un quartiere classico americano, edifici alti di mattoni rossi, tombini fumanti, un cantiere sempre presente e la metro a due passi. Perfetto.
Nemmeno il tempo di rendermi conto che siamo arrivate a New York, la grande mela, la città che non dorme mai, che il nostro caldissimo (si fa per dire) letto queen size, ci ha avvolto senza pietà. Ed è subito domani.
Giorno 2
La sveglia è suonata alle 6:45. Mattiniere io e la mamy. In realtà siamo uscite dall’hotel alle 8:30.
Nel frattempo c’è stata una colazione abbondante: latte, Nesquik e cereali, certe abitudini si portano ovunque. Una gentile signora di colore al di là del bancone, insegna a noi povere italiane incapaci, come si preparano i waffle triangolari. Ogni ospite se li prepara da sè. Si spruzza del burro liquido sulle piastre roventi, si rovescia un composto già preparato, si chiude la piastra, si gira di 180° e parte un countdown di 2 minuti. Sciroppo d’acero e via. Uno spettacolo!
Si torna in stanza, si verifica che le batterie di ogni dispositivo siano cariche. Reflex, GoPro, cellulari. Tutto pronto. Andiamo.
A 200mt dall’hotel, abbiamo la metro. Ce ne sono passate davanti circa 5 o 6, prima di capire che potevamo prenderne una qualsiasi.
Dopo un cambio metro e qualche fermata più avanti, scendiamo a Fulton Street e qui ci rendiamo davvero conto di essere in una vera e propria metropoli.
Dopo esserci più o meno orientate, ci dirigiamo verso il “21th Century“, un centro commerciale, dove, al 4° piano si trova un bancone dove poter acquistare, o ritirare se si è pre-acquistata su internet, la New York Pass, una tessera con microchip che ti permette di accedere alla maggior parte delle attrazioni della città, senza pagare di più e in alcuni casi ti permette anche di saltare le file.
La nostra prima tappa è il World Trade Center, lo spazio dedicato alle tristemente famose torri gemelle, crollate a seguito dell’attentato dell’11 settembre dell’ormai lontano 2001.
Un grattacielo dopo l’altro, ci troviamo davanti a uno spazio aperto, rimasto così da quella triste data.
Le torri gemelle hanno lasciato spazio a due enormi vasche quadrate, dove, sul perimetro di ognuna, sono incisi i nomi delle vittime dell’attentato.
A lato delle due vasche si trova il Memorial Museum 9/11 – Uno spazio immenso che si estende anche sottoterra a ridosso delle fondamenta delle torri gemelle.
Stanze dedicate alle vittime, agli eroi, e al ricordo di quel tragico evento ancora vivo nella mente degli americani.
I resti di quel giorno sono conservati in teche di vetro o appesi alle pareti.
Non so se avevo la pelle d’oca per l’aria condizionata, o per quello che stavo guardando. Credo tutti e due. Ma una parola avevo in testa durante tutta la visita: agghiacciante.
Si respirava patriottismo, angoscia, impotenza, terrore e rabbia. Silenzio e rispetto echeggiavano in quelle stanze enormi, testimoni di un avvenimento che ancora oggi lascia senza parole.
Lasciamo il Memorial Museum 9/11 e ci dirigiamo verso il One World Observatory, un grattacielo poco distante che permette di arrivare al 102° piano e di godere della splendida vista di Manhattan dall’alto.
Dopo una mezz’oretta di coda ci fanno entrare negli ascensori, ricoperti totalmente da schermi che man mano che si sale, ti mostrano l’evoluzione della città, da quando era ancora una distesa d’erba e vegetazione, a come la vediamo noi adesso. La salita è stata rapidissima, circa 60 secondi.
Arrivati al 102° piano, le porte degli ascensori si aprono e ci ritroviamo davanti alle vetrate ricoperte anche loro da schermi che proiettano slide di immagini della città con una base musicale. Ad un certo punto i pannelli si alzano per scoprire il bellissimo panorama sulla città, da 381 mt di altezza, con visuale di 360°. La città era ai nostri piedi. Migliaia di persone nelle strade, auto e taxi gialli in ogni via.
Da qualsiasi punto volgevi lo sguardo, distese di edifici e grattacieli tagliavano il cielo. Uno spettacolo.
Dopo 40 minuti abbondanti, scendiamo altrettanto velocemente con gli ascensori, usciamo dall’edificio e ci incamminiamo verso Downtown, la zona sud di Manhattan.
Arrivati a Battery Park dopo circa 45 minuti, con il New York Pass alla mano, facciamo la fila per prendere il biglietto per la Circle Line , una mini crociera con battello che ci porta alla Statua della Libertà e ad Ellis Island, l’isola che ospita il museo dell’immigrazione; proprio perchè quest’isola, dalla fine del 1800 a metà del 1900, ha fatto da tramite per più di 12 milioni di immigrati che arrivavano da ogni parte del mondo. Alcuni di loro venivano trattenuti per settimane, altri addirittura per mesi, e dovevano superare rigorosi controlli sanitari e psicologici prima di poter accedere al suolo americano.
Il giro è durato complessivamente 3 ore, e torniamo a Battery Park giusto il tempo per goderci lo skyline di Manhattan al tramonto.
Tornate a Manhattan, ci incamminiamo verso il ponte di Brooklyn costeggiando l’East River. Lo percorriamo per tutta la sua lunghezza fino ad arrivare a Brooklyn, che a tratti sembra più il Bronx. Ragazzi che giocano a basket nei campi di asfalto a lato della strada. Musica hip hop che esce dai finestrini delle auto, e noi che ci perdiamo tra le vie alla ricerca di una metropolitana che ci riportasse a casa. Ero stanchissima, i piedi chiedevano pietà. Ci fermiamo a cenare nell’unico posto che vediamo. Un locale italiano, Forno Rosso, di proprietà di Alessandro, un ragazzo carinissimo, e di Fabio, anche lui italiano. Dopo una buonissima pizza margherita, pollo e purè, usciamo e optiamo per un taxi che in un quarto d’ora ci porta davanti al nostro hotel. Sane e salve anche oggi.
Giorno 3
Vuoi non trovare un giorno di pioggia? Ci alziamo, e del sole nessuna traccia. Anzi, pioveva parecchio.
Decidiamo di passare la giornata a visitare qualche attrazione al chiuso.
prima tappa: MOMA (Museum of Modern Art) che raccoglie migliaia di opere di arte moderna; avete presente quei quadri bianchi, senza dipinto nulla? Oppure sculture composte da un’accozzaglia di oggetti? Ecco, quelle cose lì. Questo tipo di arte non lo capirò mai, ma ammetto la mia ignoranza in materia.
Fortunatamente, dopo sale infinite di opere incomprensibili, vengono in mia salvezza Van Gogh e Magritte.
Dopo il MOMA e un cielo troppo grigio per programmare qualcosa all’aperto, un giro nei negozio era d’obbligo. Tutti prima di partire mi hanno detto “compra le Nike che costano pochissimo“, pochissimo un cavolo!! Alcuni modelli costano anche di più rispetto all’Italia. Quindi alla fine niente shopping.
Proseguiamo verso la Trump Tower e il Rockefeller Center, e dopo un panino al volo, andiamo al Museo Americano di Storia Naturale (American Museum of Natural History). Tra l’altro siamo entrate gratis perchè un’ora prima della chiusura non fanno pagare l’ingresso, ed erano già le 5 di pomeriggio.
E’ organizzato benissimo, le sale degli animali preistorici sono spettacolari, e c’è anche il T-Rex che insegue Ben Stiller nel film “Una notte al museo”.
Il cielo è coperto; ogni tanto qualche scroscio d’acqua, ma niente panico. Andiamo a Times Square, sulla 42esima.
Tutti conoscono Times Square, forse per il grande evento di fine anno, o forse per la scena del film SpiderMan, quando combatte contro il Goblin e mette in salvo MaryJane.
E’ talmente illuminata che sembra Natale, ovunque si guardi ci sono immensi led pubblicitari sulle facciate dei grattacieli, e sono talmente tanti, che la piazza è illuminata a giorno. Anche l’insegna del Mc Donald è tempestata di led. Di giorno è bella, ma di notte rende decisamente di più.
Giorno 4
Questa è la mattina del giro sul Big-Bus che ci porta in giro per New York.
Siamo passate davanti all’Empire State Building e al famosissimo edificio a forma di ferro da stiro, appunto chiamato Flatiron Buiding. Abbiamo attraversato le vie principali, per poi passare da Korea Town, Little Italy, e una volta arrivati a China Town, decidiamo di scendere per incontrare un vecchio collega di mia mamma, trasferitosi a NY per lavoro un paio di anni fa. Ci ha accompagnate per China Town e Little Italy, ma ci ha salutate presto perchè doveva andare a firmare dei documenti per poter adottare un gattino. Lo salutiamo e continuiamo il nostro giro a Little Italy. Decidiamo di fermarci a mangiare una pizza, ed era buonissima, contro ogni aspettativa.
Dopo un’oretta prendiamo la metro fino alla 42esima strada, a Times Square. Ci ricordiamo che lì vicino c’è la Grand Central Terminal, quella con al centro l’orologio d’oro.
Questa stazione è stata protagonista di vari film e serie tv. Mi ricordo benissimo la prima puntata di Gossip Girl, quando Serena si affaccia alla scalinata della Grand Central; oppure nel film “2:22 – il destino è già scritto” dove la Grand Central è protagonista di quasi ogni scena del film.
Dopo la Grand Central Terminal, torniamo in zona Rockefeller Center e ci dirigiamo nel punto in cui si fa la coda per salire al Top of The Rock, il punto di osservazione per vedere la città dall’alto.
Compriamo una limonata a uno dei tanti baracchini della città e aspettiamo le 21. Volevo vedere lo skyline di New York di notte.
Arrivata l’ora X, entriamo, e, biglietto alla mano, ci fanno salire su un ascensore con una vetrata nella parte superiore, attraverso la quale si vedono gli ingranaggi e tante lucine blu che ci accompagnano fino in cima. Usciamo dall’ascensore e ci ritroviamo su una terrazza all’aperto che circonda l’edificio, percorribile per tutto il perimetro, che ci fa godere di una vista mozzafiato, che fino ad allora era solo nel mio immaginario. La città è avvolta dal buio, tempestata da milioni di luci. Dalle finestre illuminate dei palazzi, alle luci delle auto in strada. L’ Empire State Building, davanti a noi, dominava la città. Tutto magico, incredibile e indescrivibile. Nemmeno le foto aiutano. Bisogna vederlo dal vivo.
Giorno 5
Stamattina sveglia presto (come tutte le mattine). Ci aspetta un viaggio guidato ad Harlem, a nord di Manhattan.
Ci troviamo a Times Square, civico 690, e troviamo Anthony, la nostra guida italiana che ci fa segno di salire sul bus. Partiamo, e dopo circa 40 minuti, arriviamo ad Harlem e scendiamo davanti all’Apollo, il famosissimo teatro che ha fatto da trampolino di lancio per i più grandi nomi dello spettacolo afroamericani, da Michael Jackson, ad Aretha Franklin, Stevie Wonder e Ray Charles.
Dall’altro lato della strada, i negozi sono chiusi, e sulle saracinesche abbassate si vedevano i graffiti realizzati da un’unica persona, un certo Franco, auto nominato “Franco the Great” (Franco il grande), che abbiamo avuto occasione di vedere, ad un banco dove vendeva piccole tele dei suoi lavori ed era disponibile a farsi fare qualche foto (che io ovviamente mi sono dimenticata di fare).
Svoltiamo l’angolo ed entriamo in una chiesa battista, che apparentemente può sembrare una normalissima abitazione, ma appena si varca l’ingresso, è una chiesa a tutti gli effetti: panche di legno a destra e a sinistra, uno spazio sopraelevato, ma senza altare, sedie da tutti e due i lati e una grande croce sul fondo.
La popolazione ad Harlem era prevalentemente afroamericana, e si sa, gli afroamericani hanno una voce pazzesca. Comincia così la messa Gospel, tra canzoni, battiti di mani a ritmo di musica, canti di gruppi e assoli al pianoforte. Sembrava più un concerto che una messa, infatti l’ho apprezzato moltissimo.
Emozionante, toccante, e per quanto capissi davvero poco le parole dei canti, si percepiva l’entusiasmo che ci mettevano, il sentimento nella preghiera cantata e la devozione che li contraddistingue. Non si avvicina nemmeno lontanamente ai canti delle messe a cui siamo abituati noi.
Felicemente sorpresi dalla bellezza della funzione, usciamo stringendo le mani a chiunque ce la porgesse. Purtroppo era vietato fare fotografie, che non avrebbero comunque potuto testimoniare la potenza di quelle voci.
Saliamo sul pullman, e sulla via del ritorno verso Times Square, ci facciamo lasciare all’inizio di Central Park e ci facciamo ingolosire dagli hot dog che preparano all’entrata del parco.
Entriamo, e ci sdraiamo sul prato tra scoiattolini e insetti un po’ meno desiderati.
Finito di mangiare cominciamo a camminare nel parco, immenso e verde da qualsiasi parte lo si guardi. Non sembrava nemmeno di essere nel cuore di una delle più gradi metropoli del mondo.
Nel parco ci sono percorsi esclusivamente per le bici, altre vie solo per i pedoni; mano a mano che proseguivamo, l’ambientazione cambiava: laghi e laghetti, ponticelli, intere distese d’erba disposte un po’ ovunque dove si vedevano famiglie intente a godersi un pic-nic, c’era chi leggeva, scriveva, disegnava, studiava; erano presenti anche numerosi artisti di strada che si esibivano per racimolare qualche spicciolo dai turisti.
C’è un’area piena di campi di baseball, e poi ancora aiuole, sentieri e vegetazione di ogni tipo. Decidiamo di prendere le biciclette e girarlo un po’ per arrivare sul lato opposto. Non me lo aspettavo tanto grande!
Arrivate al lato opposto, lasciamo giù le bici, e ci dirigiamo verso il MET ( The Metropolitan Museum of Art ), che ovviamente io conosco solo perchè Blair e Serena di Gossip Girl si sedeva sulle gradinate esterne.
Potevo farmi sfuggire il set del film “I pinguini di Mr. Popper“, con Jim Carrey? Assolutamente no, infatti proseguiamo a piedi verso nord ed entriamo al museo Guggenheim, completamente bianco e dall’architettura particolare.
E da buona film dipendente, l’ultima tappa è Dumbo, no, non l’ elefantino della Disney, ma una zona al di là del ponte di Brooklyn, dove una particolare via è stata protagonista del film “c’era una volta in America”; esattamente la Washington Street, che ospita uno scorcio unico. I due edifici laterali fanno da cornice al Manhattan Bridge, dove, nell’arcata inferiore, si incastra perfettamente l’Empire State Building.
Abbiamo aspettato il tramonto per avere la luce perfetta per la foto perfetta.
E finisce così la vacanza newyorkese.
Giorno 6
Oggi è il primo vero giorno di vacanza on-the-road. Prendiamo il taxi fuori dall’hotel e arriviamo all’aeroporto La Guardia di NY per ritirare l’auto, una Jeep Gran Cherokee full optional, pronta per portarci da una parte all’altra degli Stati Uniti.
Usciamo dall’intenso traffico newyorkese e siamo ufficialmente all’avventura!
Nel tragitto ci fermiamo per vedere l’eclissi di luna, ma la foto lascia un po’ a desiderare.
Proseguiamo per altre centinaia di miglia in direzione Niagara Falls, dove abbiamo cenato al Longhorn, uno steak house spettacolare, dove fanno della carne buonissima. D’altronde, dobbiamo metterci in forza per la giornata di domani.
Giorno 7
Cominciamo la giornata con una delle tappe più attese del viaggio: le cascate del Niagara. Sono distanti circa 15 minuti di auto dall’albergo.
Arriviamo in un parcheggio, e costeggiamo il Niagara River, ed eccole, nella loro immensità.
Il Niagara River fa da confine naturale tra gli Stati Uniti e il Canada.
Dalla parte degli USA, le cascate, si vedono lateralmente, ma bellissime comunque.
Proseguiamo la passeggiata lungo il fiume per arrivare al ponte, attraversarlo, e vedere le cascate dalla parte del Canada, per vederle frontalmente.
Arrivati su suolo canadese, dobbiamo passare la dogana, quindi controllo dei documenti e timbro del Canada sul passaporto.
Costeggiamo ancora il fiume, e dall’altra parte, uno spettacolo da lasciare senza parole.
Non sono famose per la loro altezza, ma per l’impressionante quantità d’acqua che riversano, tutta derivante dai ghiacciai del nord.
Tanti turisti, ma non eccessivamente, non bisognava sgomitare per fare le foto e non c’è stata nessuna coda in dogana; forse il cielo nuvoloso ha scoraggiato qualche turista.
Tra foto e passeggiate lungo il fiume, passa più di un’ora.
Ci dirigiamo verso Clifton Hill, una via collinare che ha tutto l’aspetto di un luna park. Non come i nostri, questo è decisamente strano e particolare. Le attrazioni sono negli edifici che costeggiano i due lati della via, e c’è veramente di tutto. Dalla casa stregata, alla casa degli zombie, al minigolf a tema Jurassic Park, con una ruota panoramica e un vulcano che sputa fuoco.
Ci sono vari musei delle cere, ma a tema; c’è quello delle star del cinema, dove all’entrata ci sono le statue di Johnny Depp e Orlando Bloom ne “I Pirati dei Caraibi” e quello delle star del rock, con i volti dei Kiss, Kurt Cobain e molti altri. Decisamente un’atmosfera unica.
Ci fermiamo a mangiare in un ristorante e torniamo su suolo americano dopo aver passato i dovuti controlli per la seconda volta, e ripartiamo alla volta di Sandusky, in Ohio.
Giorno 8
Da Sandusky partiamo e ci dirigiamo verso Shipshewana, un villaggio Amish. Gli Amish sono una comunità religiosa, tipica americana, che vive di raccolto e bestiame, non usano mezzi di trasporto a motore e si vestono con abiti semplici e modesti; gli uomini hanno tutti la barba lunga, ma senza baffi e indossano un cappello, mentre le donne indossano classici abiti lunghi e ampi, e la loro tipica cuffietta bianca.
Purtroppo, per i miei gusti, un po’ troppo turistico. Alcuni Amish portavano i turisti in calessi, dei carretti trainati da un solo cavallo, che loro utilizzano come comune mezzo di trasporto, oltre alle classiche biciclette.
Girando nelle vie, vediamo negozi di ogni tipo: artisti, rigattieri, e non può mancare il tipico negozio di souvenirs.
Terminata la visita a Shipshewana, proseguiamo verso Merrilville, Indiana.
Giorno 9
Verso le 8:30 partiamo da Merrillville e attraversiamo l’intenso traffico di Chicago, distante circa 20 miglia (34 km), entriamo dunque nello Stato dell’ Illinois dove proseguiamo verso nord, fino al Wisconsin, lo attraversiamo, e ci troviamo a superare un ponte. Sotto di noi, il Mississipi River, il terzo fiume più lungo del mondo dopo il Rio delle Amazzoni e il Nilo.
Arrivati dall’altra parte, entriamo in Minnesota e troviamo subito una stradina laterale che ci porta sulla riva del fiume.
Lì troviamo dei binari abbandonati e quindi la foto è d’obbligo, ma poco dopo ci passa un treno merci, quindi…oops…non erano binari abbandonati.
Facciamo una passeggiata lungo il fiume di circa un’oretta, su una stradina pedonale elevata rispetto al fiume; infatti era circondata da molta vegetazione. Abbiamo incontrato anche una ranocchietta che si è lasciata fotografare tranquillamente. Torniamo all’auto, e ripartiamo verso la città di Austin.
Giorno 10
La mattina, ad Austin, decidiamo di prendere una strada secondaria e non tenere la strada principale. Percorriamo strade infinitamente lunghe, circondate da distese di niente; sì, ogni tanto qualche fattoria, qualche animale che pascola negli immensi prati verdi, ma di paesi, nemmeno l’ombra per centinaia di miglia. Proseguiamo costeggiando il confine con lo stato dell’ Iowa, che superiamo quando vediamo le indicazioni per Spirit Lake, un lago dove ovviamente ci fermiamo per fare qualche foto.
La riva è piena delle tipiche casette americane, con l’onnipresente bandiera degli Stati Uniti all’inizio del vialetto.
Proseguiamo il viaggio e ci fermiamo a Sioux Falls, una cittadina carina, con un parco enorme, che circonda le omonime cascate, formatesi dallo spostamento di una lastra di ghiaccio che ha deviato il corso del Sioux River.
Qui il territorio è talmente vasto, piatto e immenso, che vedi un temporale a distanza di miglia. L’orizzonte ha mille sfumature diverse, e si vedono gli scrosci d’acqua come fossero secchiate. E quando piove, il cielo è nero, fa davvero paura, e quando piove forte, piove veramente tanto forte. Così violento, che ci siamo dovute riparare sotto un ponte insieme ad altre auto e aspettare che passasse.
Il viaggio va avanti su strade immerse in distese infinite di coltivazioni, finché ci ritroviamo in mezzo a campi di girasoli, a destra e a sinistra, bellissimi, distese gialle fino all’orizzonte, mai visti tanti tutti insieme!
Essendo su una strada principale, non c’era modo di accostare e fare foto, così abbiamo preso la prima uscita e ci siamo inoltrate in uno sterrato in mezzo ai campi.
Giù dall’auto, guardo bene che non ci sia nessuno e mi infilo completamente tra i girasoli.
La sera arriviamo in hotel e con grande gioia scopro che c’è la piscina con l’idromassaggio! Ero stanca morta ed era tardi, ma una mezz’oretta di relax non me la sono fatta scappare!
Giorno 11
Belle riposate partiamo per vedere il monte Rushmore, ma prima, facciamo tappa a 1880 Town, un villaggio del vecchio west, dove, nel terreno anteriore, ci da il benvenuto una scultura un po’ particolare: lo scheletro di un uomo che porta al guinzaglio lo scheletro di un T-Rex.
All’entrata, un uomo vestito da cowboy, ci chiede da dove veniamo, ci porge uno spillo con la capocchia rossa e ci invita a puntarlo sul luogo da cui veniamo, su una cartina raffigurante un planisfero alle nostre spalle.
Varchiamo una porta pesantissima e ci ritroviamo in una stanza enorme, piena di vecchi oggetti dell’epoca, dagli utensili per lavorare il terreno, a vecchie bambole inquietanti.
Usciamo da questa costruzione e ci ritroviamo catapultate indietro nel tempo di almeno un secolo. Terra arida sotto ai piedi, abitazioni di legno a destra e a sinistra, il Saloon, la Banca, la prigione, l’ufficio dello sceriffo e le carrozze. E’ stato proprio come entrare nel far west.
Tornate nel XXI secolo, torniamo sulla nostra carrozza da 250 cv e ripartiamo verso la meta principale.
Dopo poco più di due ore, siamo in South Dakota e a poche miglia dal Monte Rushmore, attraversiamo un paesino pieno di casette bellissime, tutte in legno, in perfetto stile americano, con i garage bianchi, le auto nel vialetto, e ovviamente, la bandiera americana.
Passato il paese, cominciamo a fare stradine in salita tra le montagne, e dietro a un curva, eccoli lì, i quattro presidenti, sulla cima del Monte Rushmore, poco più avanti.
Arriviamo al parcheggio e dopo due passi ce li troviamo davanti: Washington, Jefferson, Roosevelt e Lincoln.
Ancora mi chiedo come hanno fatto a farli così perfetti, così grandi e così in alto.
Dopo aver cercato di mangiare un gelato grande come una casa e non esserci riuscita, ripartiamo alla volta di Buffalo, nel Wyoming.
Giorno 12
Da Buffalo ci dirigiamo verso Wapiti, vicino a Cody, la città di Buffalo Bill, il cui vero nome era William Frederick Cody, un famoso soldato dell’esercito americano ai tempi della guerra di secessione; famoso per aver ucciso più di 4.000 bisonti.
Qui a Cody, entriamo nel museo a lui dedicato, ma senza visitarlo. Entriamo nell’atrio e giriamo nello store. Eravamo in ritardo sulla tabella di marcia, infatti, da lì a poco ci saremmo fermate per visitare la Old Trail Town, un’altra cittadina di cowboy, ricostruita, ma molto più decadente della precedente.
Le costruzioni sono apparentemente tutte uguali; sono stanze piene di oggetti impolverati e animali imbalsamati…sempre inquietanti.
Proseguiamo lungo la riserva di Buffalo Bill fino a Wapiti, dove dormiremo due notti, per avere la possibilità di visitare il parco Nazionale dello Yellowstone, famoso, oltre che per la sua grandezza e particolarità, anche per essere stato l’ambientazione del famoso cartone animato anni ’90 dell’Orso Yoghi.
Giorno 13
Sveglie presto, facciamo una mezz’oretta di auto e arriviamo all’ingresso del parco.
Il percorso praticabile in auto, nello Yellowstone, ha la forma di un “8” , che si può girare in lungo e in largo per un’intera settimana al prezzo di 30$ con la possibilità di entrare e uscire dal parco quante volte si vuole.
Il paesaggio iniziale lascia un po’ a desiderare, infiniti ettari di foresta completamente bruciata.
Dopo un po’, l’ambiente migliora: cominciano i primi laghetti, i primi fiumi e di conseguenza anche una fitta vegetazione e cominciano a vedersi i primi cartelli di pericolo per l’attraversamento di animali selvatici.
Il paesaggio cambia all’improvviso. Da una fitta foresta, a una distesa di bassa vegetazione color paglia.
Ci fermiamo a Mary Bay per fare una passeggiata fino alla riva dello Yellowstone Lake. In realtà speravo di vedere un orso, in lontananza ovviamente.
Nel tragitto in auto, costeggiando il lago, vediamo i primi getti di vapore uscire dal terreno.
Più avanti, sulla destra, troviamo un piazzale dove tantissime persone erano appostate con binocoli professionali e macchine fotografiche con obiettivi lunghi un chilometro per vedere chissà cosa e chissà dove. Il piazzale dava su un’enorme piana, dove all’orizzonte cominciava una pineta lunga tutta la collina. Curiosa come sono mi sono voluta fermare e cercare di scorgere qualcosa ma nulla, solo qualche bisonte in lontananza, ma niente di più.
Proseguiamo, e dopo poche miglia ci imbattiamo in una mandria di bisonti a bordo strada.
Mi è venuta voglia di tornare indietro da quelli con i binocoli e dire “se fate un km li vedete da vicino!”
Sulla sinistra, poco più avanti, ci fermiamo a Mud Volcano, tradotto sarebbe “vulcano di fango”, dove il vapore del geyser esce da una pozza grigia e melmosa, facendo ribollire il fango.
Poco più in là, c’è un geyser dove, la potenza del vapore, nell’uscire, provoca un rumore come fosse un drago che sputa fuoco, infatti viene chiamato “Dragon’s mouth spring“. E’ impressionante! Sembrava dovesse uscire un mostro da un momento all’altro!
La tappa successiva è Artist Point, un punto panoramico dove poter vedere le Lower Falls, che cadono in mezzo a un canyon, dove poi il fiume prosegue il suo corso.
Proseguiamo il percorso verso ovest, arriviamo a Norris dove vediamo le prime distese di geyser che escono dal terreno, uno vicino all’altro, con colore e morfologia diverse.
Il terreno tutt’attorno è precario, soggetto ad erosioni e crepe, a causa dell’acqua bollente che scorre sotto terra. Il percorso per i turisti è delimitato da un pontile che percorre tutta l’area, alto circa mezzo metro da terra. Il pontile si ramifica in più direzioni, e noi, ovviamente, abbiamo preso quella meno affollata.
In lontananza vediamo il getto alto di un geyser di forma circolare, e di un bel colore rosso vivo, che si trova proprio a fianco del pontile. Scendiamo per vederlo, ma ora che arriviamo aveva finito l’eruzione. Decidiamo di aspettare un po’ per vedere se avrebbe fatto ancora la gettata di vapore e scattare una foto, ma dopo mezz’ora di attesa, ancora niente.
Torniamo all’inizio della via pedonale e chiedo al Ranger di turno, ogni quanto tempo erutta quel geyser, ma ci ha risposto che non lo fa a intervalli regolari come invece fanno molti altri, anzi, ci ha chiesto informazioni su quello che abbiamo visto: quanto è durata l’eruzione, quanto era alta, e a che ora, e si è appuntato tutto su un quaderno che aveva sotto la scrivania, e ho notato che le nostre informazioni erano solo le ultime di un lungo elenco.
Comincia ad essere tardi, così rientriamo nel nostro hotel, in mezzo al nulla più totale, bellissimo.
Il cielo è limpidissimo e di notte si vede la via lattea; fenomeno rarissimo dalle nostre parti a causa dell’inquinamento luminoso che qui, è completamente assente.
Giorno 14
Pronte per il secondo giorno nel parco nazionale dello Yellowstone, la mamy ed io saliamo sul nostro bolide a quattro ruote e sfrecciamo lungo lo stesso percorso di ieri fino a Norris, ma prima, piccola tappa alle Virginia Cascade; niente di che, si vedevano anche poco rispetto alle precedenti Lower Falls, che meritavano decisamente di più.
La cartina che ci hanno dato all’entrata era probabilmente fatta di carta riciclata male, perchè era già visibilmente distrutta, e non riesco a immaginare dopo una settimana di permanenza, ma riusciamo comunque a mettere insieme i pezzi e fermarci in qualche punto d’interesse e punti panoramici molto carini.
Ogni tanto si intravede qualche laghetto, circondato interamente dalla pineta, molto suggestivo, e se te lo immagini di notte, fa molto “Twilight“.
Passiamo anche per le Gibbon Falls, altre cascate molto belle dove, dal punto panoramico, si riesce a vedere il lungo corso del fiume.
Sempre seguendo la nostra puzzle-cartina riusciamo ad arrivare a sud, dove il geyser più famoso del parco, l’Old Faithful, da spettacolo ogni 45 minuti.
La zona è completamente circondata da panchine per ospitare i turisti. Noi ci sediamo davanti perché non c’era ancora nessuno. Col passare dei minuti, gli spazi si riempiono. Quelli in prima fila si attrezzano con reflex, treppiedi e teleobiettivi grandi quanto un mio braccio .
Quà e là, alcuni Ranger intrattengono i turisti spiegando loro come avviene l’eruzione dei geyser, con tanto di cartellone illustrativo. Da quello che ho potuto capire, i geyser sono serbatoi d’acqua bollente, che arrivata a una temperatura molto elevata, si trasforma in vapore, provocando un’eruzione.
Il video mostra lo spettacolo dell’Old Faithful, ma dal vivo, ovviamente, rende molto di più.
Giorno 15
Oggi è giornata di solo viaggio, ma non per questo meno interessante.
Le temperature cominciano a salire, questa mattina c’erano già 31°C.
Il Viaggio prosegue bene fino a Salt Lake City, dove troviamo un traffico che nemmeno a Milano durante la Fashion Week. Addirittura c’era la corsia di sinistra dedicata a chi aveva un pass, che permetteva di superare il traffico. Noi invece ce lo siamo beccato tutto e abbiamo perso del gran tempo, ma fortunatamente non avevamo programmi per la giornata di oggi.
Passiamo il confine ed entriamo nello Stato dello Utah.
Bye Bye Wyoming, welcome Utah.
Giorno 16
Sveglia presto che abbiamo appuntamento alle 13:00 per il tour guidato all’ Antelope Canyon. Se avete visto il film “127 ore” con James Franco, sapete di che cosa sto parlando.
Siamo in largo anticipo, un occhio alla cartina e decidiamo di fare una piccola tappa al Lake Powell.
Arrivate all’altezza del lago, prendiamo uno sterrato sulla sinistra che porta a un punto panoramico per vedere il lago dall’alto. Bellissimo, soprattutto il contrasto tra il colore rosso delle rocce e il blu dell’acqua. Facciamo qualche foto e proseguiamo in auto, ma ad un certo punto ci troviamo davanti un baracchino con dentro una signora dall’aria insofferente, che ci chiede la bellezza di 25 $ (circa 21€) per poter arrivare anche solo al lago per una foto. Ringraziamo, salutiamo e facciamo dietro front.
Proseguiamo in auto e finalmente entriamo in Arizona, spostiamo l’orologio un ora indietro e continuiamo a percorrere strade deserte fino alla cittadina di Page, che io ho adorato.
Arriviamo nell’ufficio dove organizzano i tour per l’Antelope Canyon. La nostra guida Rosy ci prende i biglietti e ci fa segno di salire su uno dei loro pick-up scoperti, dove, nel cassone, ci sono due panche per trasportare i turisti. Fortunatamente non c’era più posto, così la guida ci fa sedere sui sedili posteriori e ci evita di respirare sabbia fino al canyon.
Dopo circa 5 minuti entriamo in uno sterrato e facciamo un po’ di fuoristrada nella sabbia rossa prima di entrare nel luogo più strano e particolare che abbia mai visto.
Il colore arancione predomina in qualsiasi direzione si guardi.
Entriamo in quella che è la base del Canyon, in un insieme di luci e ombre.
La roccia è levigata, ma al tatto, leggermente ruvida.
Entriamo e usciamo da fessure e tunnel, che se non ci fosse stata la guida, mi sarei già persa; infatti, questi tour, si possono fare esclusivamente con loro, non in autonomia.
Uno spettacolo senza paragoni. Colori caldissimi, dalle pareti, alla sabbia sotto ai nostri piedi.
E’ in queste occasioni che ci si rende conto di quanto la natura possa creare dei capolavori unici, senza il minimo sforzo, solo con la pazienza del tempo.
La giornata non è finita. Un altro spettacolo ci aspetta.
Prendiamo l’auto e torniamo verso la strada principale, la percorriamo per circa 3 miglia ed entriamo in un parcheggio sterrato.
Dopo aver parcheggiato, camminiamo nella sabbia rossa, su e giù per una collina, per circa venti minuti finchè ci troviamo davanti il secondo spettacolo della giornata: l’ Horseshoe Bend, che letteralmente significa “ferro di cavallo”. Infatti, questa forma particolare è data dal corso del fiume Colorado che ha eroso il Canyon dall’alba dei tempi fino ad oggi, creando uno spettacolo senza precedenti. Noi eravamo sul versante sud del Canyon e avevamo il fiume a circa 300 mt sotto ai nostri piedi.
C’erano decine di persone, ragazzi impavidi che si sporgevano un po’ troppo per i miei gusti. Io non sono stata da meno, ma ci tengo a rimanere coi piedi a terra, quindi va bene rischiare, ma non così tanto.
Dopo aver fatto questa foto, mi ha inondato una sensazione di gelo in tutto il corpo, il cuore ha cominciato a battere a ritmo di un martello pneumatico e facevo fatica a respirare, sentivo freddo e caldo allo stesso momento. Attacco di panico? Vertigini? non credo, perché non provavo fastidio a guardare lo strapiombo, ma bensì a guardare in alto, davanti a me, lo spazio infinito che avevo davanti e per il quale non vedevo la fine. Google dice Agorafobia. Bah…
Giorno 17
Proprio perché sono fatta del 50% d’acqua e il restante 50% di razionalità, questa mattina torno all’ Horseshoe Band. Bisogna pur affrontare le proprie paure, no?
Il dirupo era ancora lì, il Canyon infinito anche. La paura però non c’era più. Tiro un sospiro di sollievo e mi godo il panorama.
Solite foto di rito, quasi fondendo la mia GoPro dalla quantità spropositata di foto che ho fatto.
Inizialmente questa giornata era stata programmata per l’ozio più totale, per riposare mente e corpo e per recuperare le energie, ma essere in mezzo all’Arizona, dove forse non tornerò mai più, e sprecare un’intera giornata a fare niente, ci sembrava uno spreco.
Torniamo in auto verso Page ma proseguiamo e ci dirigiamo verso la diga costruita nel Glen Canyon, sul fiume Colorado dando origine al Lake Powell. La diga si può ammirare dal ponte da un’altezza di circa 220 metri. Una volta attraversato il ponte, si può visitare il Carl Hayden Visitors Center e informarsi, in un percorso guidato fatto apposta per i turisti, di tutto ciò che riguarda la diga e la sua costruzione.
Arriva il pomeriggio e arriva anche il momento di riposarci un po’. Andiamo in hotel, scarico le foto sul computer e via nella piscina dell’hotel finché diventa buio.
La sera facciamo una passeggiata in paese e ci fermiamo in un locale che era un mix tra un pub e un bowling; ci facciamo una partita dove modestamente vinco a mani basse, e torniamo in hotel, pronte per affrontare la giornata di domani.
Giorno 18
Oggi è il giorno del Gran Canyon. Una quantità spropositata di roccia rossa ci aspetta.
Sulla strada, incontriamo un mercatino artigianale, dove una comunità di nativi americani, creano oggetti di tutti i tipi, acchiappasogni, archi e frecce, utensili e piccoli gioielli.
Verso le 11:00 varchiamo l’ingresso del Gran Canyon National Park e ci dirigiamo subito alla prima tappa, la desert view, con una torre sopraelevata che domina il paesaggio.
Foto di rito con il Gran Canyon sullo sfondo e si riparte. Il percorso è abbastanza lineare, tutta la strada costeggia il Canyon, con vari punti di osservazione lungo il tragitto.
Ci fermiamo solo a Lipan Point e Grandview Point, poi proseguiamo verso il Gran Canyon Village.
Qui parcheggiamo l’auto senza troppe difficoltà e prendiamo una navetta che porta i turisti nei punti successivi, tra cui Hermits Rest, una struttura in sasso con un classico negozio di souvenir da cui però stiamo alla larga perché preso d’assalto dai turisti. Riprendiamo la navetta e scendiamo due fermate più in giù, dove prima ci sembrava di aver adocchiato un punto panoramico molto suggestivo. Rocce a strapiombo e il fiume Colorado ai nostri piedi, davanti a noi, una distesa infinita di rocce, non si vedeva la fine, uno spettacolo che ha dell’incredibile. A sto giro, niente agorafobia…per fortuna!
Facciamo una bella passeggiata verso l’auto ma per l’ultimo tratto prendiamo la navetta, eravamo stanche morte e i piedi chiedevano pietà.
Arrivate al parcheggio ci siamo imbattute anche in due cerbiatti.
Stanchissime, imbocchiamo la strada verso la cittadina di Williams, dove avremmo pernottato, ma prima, un cartello stradale attira la mia attenzione, indicava “Bedrock City“, il nome mi era familiare, ma non ricordavo perché. Dopo poche miglia, la memoria è riaffiorata quando davanti a noi apparve una gigantografia di Fred Flinstones, il cartello che annunciava l’entrata della città e una casa identica in tutto e per tutto a quella del cartone animato. In realtà non era una città, ma un parco a tema, chiuso in quel momento data l’ora tarda. Dopo circa 30 miglia arriviamo all’ hotel, credo di essermi addormentata vestita da quanto ero distrutta!
Giorno 19
Questa è una delle giornate più attese di tutto il viaggio: attraverseremo la famosa Route 66.
Abbiamo scelto Williams come tappa per dormire proprio perchè a ridosso della famosissima strada.
Ti ritrovi catapultata in un paesino vintage, colori accesi, macchine d’epoca, insegne al neon e musica country che esce dalle finestre di bar e negozi. Inutile dire che è stato impossibile non fermarsi al Pete’s gas station Museum, o in un negozio di articoli vintage con numerose vecchie targhe automobilistiche e insegne della Coca-Cola. Diciamo che se fosse passato Elvis Presley non avrebbe dato nell’occhio.
Ci siamo fermate per fare le foto di rito sulla scritta “Route 66” sull’asfalto, all’uscita 146, poco prima che venisse invasa da un bus di turisti giapponesi. Questa è la prova che svegliarsi presto ripaga sempre.
Lasciamo i giapponesi alle loro foto e iniziamo la lunga strada verso Las Vegas. Dopo circa 210 km arriviamo nella città che non dorme mai. Ormai è buio, ma non vogliamo sprecare nemmeno un minuto.
Arriviamo allo Stratosphere Hotel che ci ospiterà per le prossime due notti. Facciamo check in, ci cambiamo velocemente e fuori alla scoperta della città.
Nonostante fosse sera, il caldo si sentiva, non dimentichiamoci che siamo nel bel mezzo del deserto del Nevada, così optiamo per un taxi e ci facciamo lasciare davanti all’hotel Bellagio, giusto in tempo per vedere lo spettacolare gioco di luci e colori delle fontane.
Giorno 20
Oggi giornata intera dedicata a Las Vegas. Colazione velocissima (e abbondante), si esce in strada e veniamo letteralmente invase da un caldo atroce, il cartellone led dell’ingresso dell’hotel segnava 104 °F ovvero circa 40 °C. Nonostante il brusco calo di pressione, andiamo alla fermata del bus proprio davanti all’hotel e ci facciamo portare fino a Mandalay Bay Hotel , ci facciamo circa 2 km a piedi e finalmente eccola: l’insegna “Welcome to Fabulous Las Vegas“. Ehm…pensavo fosse più…alta. Ma comunque iconica e d’obbligo fare la turista in coda per la foto.
Tutta la mattina e gran parte del pomeriggio li passiamo a visitare tutti gli hotel sulla Las Vegas Strip: Luxor, Excalibur, Caesars Palace, Excalibur, Bellagio, The Venetian e molti altri. Uno più bello dell’altro, e uno più strano dell’altro. Sembrava quasi di essere in un videogame che entri ed esci da un livello all’altro.
La stanchezza (e la fame) cominciano a farsi sentire, erano ormai le 16:00; entriamo quindi in un ristorante/fast food a tema foresta tropicale, non credo esista nulla a Las Vegas che non sia stata creata per sbalordire o dare spettacolo, anche i bagni erano belli.
Comincia a fare buio, così ci dirigiamo verso il Bellagio per assistere ad un altro spettacolo come la sera precedente. Decidiamo di andare via poco prima della fine per evitare la fiumana di gente che si allontanava dall’hotel. Prendiamo il bus mezzo vuoto e ci dirigiamo verso nord, in direzione di Fremont Street, situata nella downtown di Las Vegas.
Non sapevamo esattamente cosa fosse e cosa avremmo trovato, ma Google ci è venuto in soccorso, e non potevamo assolutamente perdercela!
Una galleria lunga circa 500 mt con la volta totalmente ricoperta di led. Alzavi gli occhi al cielo e vedevi le persone volare da una parte all’altra, grazie a una zipline posta all’inizio e alla fine della via. Un susseguirsi di immagini, foto, luci, colori, e musica di ogni genere.
E’ una sorta di centro commerciale. Un negozio dietro l’altro (c’erano più negozio di tatuaggi lì che in qualunque altro posto dove sono stata), a ogni angolo c’era un casinò sempre pieno di gente.
Tutta Fremont Street era un enorme palcoscenico, gruppi di ballerini che si sfidavano in coreografie hip-hop, cosplay che ti chiedevano una foto, artisti di strada di ogni genere. Posso dire con assoluta certezza che è la cosa più spettacolare che ho visto a Las Vegas.
Era tardissimo, così decidiamo a malincuore di tornare. Ma vuoi non farti un giro sul punto più alto di Las Vegas? Ovvero proprio il nostro hotel? Ma certo che no!
Saliamo con l’ascensore fino alla cima della torre dove c’è il ristorante, e la vetrata a 360° ti permette di ammirare Las Vegas dall’alto in ogni direzione. In realtà c’è un piano ancora più alto che ti permettere di raggiungere una giostra, che altro non è che un braccio con 4 posti a sedere che esce a strapiombo e ti fa girare. Ovviamente non l’ho fatto. Ci beviamo un cocktail dai dubbi ingredienti ma l’unico con un nome pronunciabile, e torniamo in stanza, sfinite, ma appagate dalla lunghissima ma emozionantissima giornata.
Giorno 21
Oggi per me è il giorno perfetto per tornare bambina. Oggi si va all’Area 51. Decisamente un mio sogno nel cassetto. Sì proprio la base militare divenuta famosa perchè si crede che all’interno facciano esperimenti sugli alieni e che ci tengano nascosto chissà quale navicella spaziale o altro. Dovete sapere che E.T. l’extraterrestre è sempre stato uno dei miei film preferiti da bambina, e da allora non mi perdo un film a tema o un documentario sull’argomento. Non sono una di quelle che va in giro con la carta stagnola sulla testa convinta che gli alieni ci leggano la mente, o che pensa che il suo vicino di casa la notte diventa un muta forma, ma è anche vero che non ho la presunzione di credere che la Terra sia l’unico pianeta con forme di vita.
Elettrizzata come una bambina al parco giochi, ci dirigiamo alla famosissima Extraterrestrial Highway, la strada che collega Las Vegas allo Yosemite National Park.
Il primo avvistamento lo abbiamo avuto con Fred, un alieno di ferro di 6 metri di altezza, posto all’entrata di un capannone adibito a museo e negozio di souvenir, tutto rigorosamente a tema alieno. Non potevo uscire a mani vuote, mi sono comprata un piccolo alieno che si illumina di notte, adesivi di ogni tipo e una calamita.
Dopo circa 40 miglia nel nulla più totale, arriviamo a Rachel, e non possiamo non fermarci al locale più famoso di tutta l’Area 51, il Little A’Le’Inn, un locale a tema alieno nel bel mezzo del nulla. Facciamo una breve, ma obbligatoria sosta per assaggiare un Alien Burger, e ammirare una parete interamente ricoperta di fotografie rappresentanti avvistamenti alieni in quella zona. E’ stato anche luogo di riprese del film Paul, una commedia-fantascientifica del 2011.
Lungo quella strada c’era un’altra tappa inevitabile. Volevo arrivare all’ingresso dell’Area 51. Ovviamente non c’era nessun cartello stradale che indicava la direzione, e nemmeno dei segnali luminosi, ma mi ero documentata prima di partire. Si arrivava ad un incrocio dove all’inizio di una strada sterrata si trovava una cassetta delle lettere, la famosa Black Mailbox, purtroppo assente perché è stata vandalizzata e rubata nel 2015, ma sapevo esattamente dove fosse quell’incrocio, e così, prendemmo in direzione dello sterrato, chiamato appunto Mailbox Road. Come si vede dalla foto, non ha una fine, e sapevo che l’Area 51 era una base militare sotterranea, quindi immaginavo di non poter scorgere nessun edificio all’orizzonte, ma non ci siamo perse d’animo e abbiamo continuato, per 10 miglia, poi 20 miglia, finché ormai avevamo perso completamente l’orientamento. In qualunque direzione c’era terra, rocce e sterpaglie secche. Ad un certo punto la strada si interrompe. Eravamo arrivate all’ingresso dell’Area 51. Un enorme cancello e una recinzione che correva lungo tutto il perimetro di un capannone. C’erano cartelli ovunque: Keep Out, No Photo, Go Away. Ad un certo punto su una collinetta, un Pick Up ci fa gli abbaglianti e all’interno una guardia con gli occhiali da sole ci fa segno di tornare indietro. Sapevo che queste guardie erano autorizzare a requisire macchine fotografiche e videocamere senza fare troppe domande , e di certo non potevo permetterlo, quindi tanti saluti e dietro front.
Ok…non mi espettavo che mi accogliessero con un mazzo di fiori e un tappeto rosso, però intanto ci sono arrivata davanti!
La giornata prosegue in direzione Hawthorne, Nevada, poco prima del confine con la California. Ormai siamo quasi in dirittura d’arrivo.
Giorno 22
Questa mattina abbiamo fatto un cambio programma per arrivare a San Francisco: attraversiamo lo Yosemite National Park invece di dirigerci verso nord.
Arriviamo all’ingresso del parco in mattinata già inoltrata, e ci immergiamo subito in un ambiente simile alle nostre Alpi. Pinete e laghetti ovunque. Montagne rocciose che ricordano le Dolomiti. Scoiattolini che attraversano la strada . Eravamo completamente immerse nella natura.
La strada era lunga ma continuavamo a fermarci in qualsiasi laghetto o punto panoramico, e ad ogni scoiattolino che vedevamo, dovevo fermarmi a fare una foto.
Prendiamo poi una strada che ci porta a Glacier Point, un punto panoramico dove osservare al meglio l ‘Half Dome, una montagna che ha la forma di una cupola spezzata a metà.
Purtroppo nel nostro itinerario non abbiamo inserito il Sequoia National Park , ma poco male, lo Yosemite offre lo stesso scenario spettacolare. Una passeggiata di una mezz’oretta ci porta alla nostra ultima tappa della giornata: Tuolumne Grove of Giant Sequoia, un piccolo agglomerato di sequoie giganti che sembrano sfiorare il cielo. Uno spettacolo!
Giorno 23
Ci svegliamo nel nostro hotel di Oakland, California, l’ultimo Stato di questo magnifico viaggio on the road.
Oggi decidiamo di prendercela comoda e di recuperare le forze. Usciamo dall’hotel poco prima di mezzogiorno, e in auto raggiungiamo un parcheggio a Marina District, sulla baia.
Ci incamminiamo per circa 30 minuti lungo la costa finché arriviamo al famoso Pier 39. Eravamo affamate, quindi decidiamo subito di fermarci a mangiare e poi di dare un’occhiata in giro.
Impossibile non pranzare al Bubba Gump Shrimp Co, una catena di ristoranti presente in quasi tutto il mondo, specializzati in pesce e frutti di mare, ispirata al film Forrest Gump. Mi auguro abbiate visto il film, e se così non fosse, rimediate il prima possibile, è bellissimo!
Sazie e soddisfatte, inizia il nostro tour al Pier 39, che non è altro che il molo più famoso della baia di San Francisco. C’è di tutto: ristoranti, bar, negozi di ogni tipo, tutto fatto interamente di legno. C’è perfino una giostra dei cavalli al centro del molo e una grande zattera interamente coperta da leoni marini. Uno spettacolo!
Inutile dire che ci si perdono le ore, esattamente come è successo a noi, tra una cosa e l’altra è arrivata l’ora del tramonto, uno dei più belli mai visti, non so se è una caratteristica del luogo, o una coincidenza proprio di quella sera, ma il cielo è diventato completamente rosa, con infinite sfumature di viola, sembrava di essere in una favola.
Giorno 24
Anche oggi lasciamo l’auto a Marina District e ci dirigiamo verso il Pier 39 per prenotare una gita in motonave. Sul molo ci sono un sacco di baracchini che ti vendono i biglietti per fare la gita , noi siamo andati in uno poco prima dell’inizio del pontile, a vederlo da fuori sembrava una piccola edicola.
Acquistiamo i nostri biglietti ma il primo giro disponibile sarebbe stato 3 ore dopo. Che si fa? Si aspetta o si va in perlustrazione? Si va in perlustrazione ovviamente! Illuse noi che pensavamo di trovare posto subito!
Decidiamo quindi di provare la fantastica esperienza del cable car, una sorta di tram, il mezzo di trasporto più famoso della città di San Francisco. Arriviamo senza troppe difficoltà al capolinea, e con 7$ a testa ci giriamo tutta la città a bordo di quello strano ma fantastico mezzo. La sua particolarità è che, a fine e inizio corsa, il vagone vuoto viene letteralmente posizionato su una piattaforma circolare rotante, e girato su se stesso per poi far salire i passeggeri e riprendere la corsa nella direzione opposta. Non so se ci sia un altro posto nel mondo dove si può vedere una cosa del genere!
Quando torniamo al molo abbiamo giusto 20 minuti per poterci mangiare un fritto di calamari prima di imbarcarci. Il tempo era proprio brutto, nuvoloso e temperature basse. Siamo passati sotto al Golden Gate Bridge che era coperto nella parte alta dalle nuvole, ma questo ha fatto in modo di avere un’ atmosfera ancora più particolare. Abbiamo circumnavigato l’isola di Alcatraz, siamo passati sotto all’ Oakland Bay Bridge per poi fare ritorno al molo. Eravamo letteralmente congelate. Un freddo atroce, sicuramente avvertito maggiormente a causa della velocità del traghetto. Prima tappa: Starbucks, per goderci una bella cioccolata calda, e tenerla tra le mani soprattutto.
Sono ormai le 18:30 quando recuperiamo l’auto e dopo qualche tentativo a vuoto raggiungiamo la famosa Lombard Street, ma è così brutto il tempo che decidiamo di tentare domani.
Nella foto qui sotto, la persona incappucciata è mia mamma, intenta a fare una foto al ponte, vero che questa foto trasmette tutto il freddo patito quel giorno?
Giorno 25
Prima tappa della giornata: The Painted Ladies, chiamate anche Seven Sisters, sono sette particolarissime casette private in stile vittoriano dai colori pastello che si trovano all’angolo di Alamo Square, una graziosa collinetta, che ospita anche numerosi colibrì.
Nonostante anche oggi la giornata non sia delle migliori, decidiamo comunque di andare verso Lombard Street. E’ proprio strana! Una stradina completamente circondata da aiuole alte e rigogliose, che forma una serpentina. La percorriamo più volte, io fuori dal tettuccio dell’auto per fare le foto. Bellissimo! (ps: provate a percorrerla su Google Maps!)
Una pizza veloce in un ristorantino italiano e poi via verso la Coit Tower, un punto panoramico non distante con una grande statua di Cristoforo Colombo; si poteva salire sulla torre, ma c’era troppa gente.
Andiamo alla ricerca di un altro punto panoramico, e ci imbattiamo in un enorme cimitero, che poi scopriamo essere il National Cemetery of San Francisco, con centinaia o forse migliaia di piccole lapidi bianche in memoria di tutti i caduti delle varie guerre combattute dagli americani. Ci dirigiamo verso il punto di osservazione più alto per ammirare il Golden Gate Bridge, ma le nuvole lo hanno completamente sommerso, per cui battiamo in ritirata.
Giorno 26
Ci svegliamo con un sole che attraversa prepotentemente le feritoie delle persiane. La giornata è bellissima, un cielo terso senza una nuvola. Sarebbe la giornata perfetta, peccato che dobbiamo dirigerci verso sud, e costeggiare tutta la California fino a Los Angeles, e i chilometri da fare sono ancora tanti. Ma possiamo lasciare una così bella giornata alle nostre spalle? certo che no!
Saliamo in macchina, e decidiamo di andare al Golden Gate Bridge per l’ultima volta. Finora lo abbiamo sempre visto coperto di nuvole e nebbia, non potevamo farcelo scappare! Ed eccolo lì, in tutto il suo splendore finalmente con il suo colore rosso bello acceso e vivido.
Dopo una lunghissima sessione fotografica, ci dirigiamo verso sud, percorrendo una strada a ridosso della costa sull’Oceano Pacifico.
Dopo un’ora e mezza circa, arriviamo a Santa Cruz! Volevo troppo vederla! In realtà è il classico molo californiano con un bellissimo Luna Park colorato, pieno di gente e bambini urlanti. C’è chi mangia un gelato, o una pizza, c’è chi beve una birra e chi è in coda per una giostra. Tra una cosa e l’altra ci passiamo mezza giornata, tra montagne russe e percorsi sospesi. Un altro mondo!
Lasciamo Santa Cruz nel tardo pomeriggio per arrivare a Marina giusto in tempo per il tramonto e per riposarci in vista della giornata di domani.
Giorno 27
Stamattina ce la prendiamo con calma anche se ci aspettano 4 ore di viaggio per arrivare a Carpinteria, dove alloggeremo per questa notte, ma poco prima ci fermeremo a Santa Barbara.
Oggi è l’11 Settembre. Sapevamo sarebbe stata una giornata particolarmente dolorosa per gli americani. Infatti, appena arriviamo a Santa Barbara, vediamo la spiaggia che è quasi interamente ricoperta da piccole bandierine americane, 2977 per la precisione, tante quante sono state le vittime dell’attentato alle torri gemelle di quello stesso giorno nel 2001. Un piccolo gazebo tra la spiaggia e la passeggiata ci ha incuriosite. Era un piccolo punto di informazione e commemorazione per quel giorno, ci hanno spiegato il perché della presenza delle bandiere e ci hanno regalato degli adesivi rappresentati la bandiera americana, che io ho immediatamente attaccato alla reflex. Non c’era molta gente, solo qualche skater qua e là. Forse, qualsiasi altro giorno sarebbe stato più affollato.
Giorno 28
Oggi si arriva a Los Angeles!!!
Prima tappa della giornata: Malibù. Cosa mi ricorda questo posto? Ah sì, i bagnini di Baywatch! Sì perchè dovete sapere, che Mitch Buchannon ha iniziato a salvare i poveri bagnanti proprio in questa spiaggia. Solo successivamente il set della famosa serie tv si è spostato sulle spiagge di Santa Monica, poco più a sud.
Anche qui, nonostante il giorno di commemorazione fosse ieri, troviamo l’intera collina della Pepperdine University ricoperta di grandi bandiere, con lo stesso principio: tante bandiere quante sono state le vittime dell’ 11 settembre.
Scendiamo la collina e anche qui facciamo una bella passeggiata sul lungomare e sul molo. Niente di che in realtà, mi aspettavo un po’ di più, forse perchè noi associamo Malibù alla bella vita, ai vip, e perchè no, a Baywatch, ma la realtà è che, a parte noi, ci saranno state 10 persone in totale, e un negozietto di souvenir all’inizio del molo che lasciava un po’ a desiderare.
Decidiamo quindi di scendere verso Santa Monica. Qui, è decisamente un’altra storia. Pieno di gente, luci, colori, musica. Il classico luna park questa volta è proprio sul molo, e molto affollato.
La spiaggia di Santa Monica è anche il punto esatto dove termina la Route 66, e c’è proprio un cartello sul molo che lo evidenzia.
Guardo il cielo, e vedo che si sta tingendo di un rosso fuoco, ma ahimè, avevo dimenticato la GoPro in auto. Corro veloce per prenderla, con quel tramonto dovevo fare assolutamente un timelapse. Nel tragitto di ritorno verso la spiaggia, assisto ad un vero e proprio arresto stile americano. Eh no, non accadono solo nei film. Due poliziotti si avventano sul malcapitato, mettendolo in manette e costringendolo a inginocchiarsi sul marciapiede. Ovviamente ho rallentato e fatto finta di guardare una vetrina per non perdermi tutta la scena! Proseguo a passo spedito verso la spiaggia, e lì ho capito che la California offre dei tramonti mozzafiato.
Giorno 29
Questa mattina ci svegliamo a Hollywood, il nostro hotel si affaccia proprio sulla grande scritta bianca in cima alla collina. Non avevamo la colazione inclusa così decidiamo di fare una veloce tappa da Starbucks. Il viaggio stava giungendo al termine, non potevamo perdere tempo prezioso.
Oggi direzione Venice Beach. E’ proprio come me la immaginavo. Una lunga passeggiata a ridosso della grande spiaggia che costeggia numerosissimi negozi di souvenir. Ogni 3 negozi c’era uno studio di tatuaggi. Molto affollata e rumorosa, Venice Beach è un ottimo esempio di Melting Pot. Praticelli verdi ovunque, grandi campi di skateboard, campi da basket e tennis, palestre all’aperto piene di uomini e donne super muscolosi che si allenavano, giovani rapper che intonavano strofe e abbozzavano coreografie a bordo strada. Tante persone completamente diverse tra loro, ma perfettamente in linea con lo stile californiano. Siamo proprio in America.
Passiamo a Venice Beach gran parte della giornata, per poi dirigerci verso i canali che danno il nome alla località. Diciamo che in comune con la nostra Venezia, ha solo i canali, lo stile è totalmente diverso, ma ugualmente particolare.
Giorno 30
La mattina di oggi è completamente dedicata alla Walk of Fame, la iper-mega-ultra famosa via di Hollywood tempestata di stelle sui due marciapiedi laterali, e io ovviamente ho dovuto fotografarle (quasi) tutte! Le stelle celebrative riportano nomi iconici del mondo dello spettacolo come Frank Sinatra, Marilyn Monroe, Neil Armstrong, ma anche nomi più contemporanei come Matthew McConaughey, James Franco, Kaley Cuoco, e centinaia di altri nomi famosissimi, non sempre appartenenti ad essere umani; sì perchè sui marciapiedi più famosi del mondo, appaiono anche i nomi del bellissimo cane Lassie, dell’orco verde Shrek, e del lucertolone Godzilla, insomma, ce n’è per tutti.
Devo però ancora capire come mai, nomi di una certa importanza come Leonardo Di Caprio, Robert De Niro e Clint Eastwood non ci siano; forse stanno antipatici a qualcuno.
Possiamo essere a Hollywood e non fare la foto sotto l’enorme scritta bianca che domina la città? Ma certo che no! Devo dire che è stata dura trovare un spot ideale per fare la foto. Troppo sotto, troppo lontano, troppo vicino, troppa gente. Siamo anche andate in uno sterrato dove, arrivati ad un certo punto non si poteva più passare. Decido così di curiosare su Instagram le varie foto per cercare di individuare i luoghi di scatto migliori, ed eccoci qui in un piazzale sterrato di una strada secondaria a cercare di fare la foto del secolo.
Ultima meta della giornata è il Griffith Observatory, l’osservatorio astronomico divenuto famoso anche grazie al film La La Land del 2016 dove i protagonisti cantano e ballano sulla terrazza. Quasi completamente circondato da grandi praticelli e aiuole, è il punto panoramico per eccellenza per osservare Los Angeles dall’alto.
All’interno dell’osservatorio si possono visitare numerose stanze di informazione tecnico-scientifica molto interessanti, inoltre, abbiamo assistito ad un fantastico spettacolo multimediale nel Samuel Oschin Planetarium, dove , sul soffitto a cupola venivano rappresentate stelle, costellazioni, pianeti, e vari filmati che mostravano le scoperte scientifiche più rivoluzionarie; peccato che non c’era nessuna audioguida per capire bene la spiegazione della voce narrante.
Usciamo dall’osservatorio che si è fatto buio, prendiamo l’auto, ci fermiamo al primo 7eleven che incontriamo, prendiamo due cose da stuzzicare in hotel per cena e poi dritte a letto stanche morte.
Giorno 31
Ultimo giorno di questa fantastica avventura on the road attraverso gli Stati Uniti.
Iniziamo la giornata con un bel giro a Rodeo Drive, la via del lusso di Beverly Hills, dove i negozi dei brand più famosi si affiancano uno dopo l’altro per circa 3 km. Purtroppo nessun Vip all’orizzonte.
Decidiamo quindi di andare a cercarli noi senza troppe aspettative, tra le colline di Beverly Hills e Bel Air e cercare di scorgere qualche bella casa, ma più che cancelli e siepi altissime non abbiamo visto, beh, c’era da aspettarselo. Eppure esistono dei tour guidati (a pagamento, ovvio) per andare in giro per queste colline e cercare di scorgere qualche Vip tra le ville lussuose della zona. Non so in quanti hanno questa fortuna.
La giornata passa in fretta, e l’oceano chiama. In poco tempo siamo ancora a Venice Beach per dare l’ultimo saluto a questo fantastico angolo di mondo e farci un’ultima passeggiata sulla spiaggia.
Facciamo altre tre tappe prima di rientrare in hotel. Non potevamo non fare una foto con il famoso murales di Colette Miller, l’artista che dipinge le ali sui muri di tutto il mondo.
E da vera binge watcher non potevo non andare a cercare la terrificante casa degli orrori della serie tv American Horror Story.
Ultima tappa del viaggio è l’opera d’arte contemporanea “The Urban Light” di Chris Burden, un agglomerato ordinato, di 202 lampioni antichi e rimessi a nuovo dall’artista per crearne un’opera che puoi “toccare con mano”, proprio perchè posizionata a bordo strada, sulla Wilshire Blvd.
Giorno 32
Giorno di rientro di questo bellissimo Coast to Coast degli Stati Uniti. Pensare che un mese fa ero a New York e ora sono completamente dalla parte opposta.
Ultimo giretto nella Walk of Fame per qualche acquisto e poi diretti in aeroporto. Ci aspettano lunghe ore di volo, con scalo a Mosca, dove successivamente, scoprirò che mi hanno perso la valigia, ma fortunatamente me la recapiteranno pochi giorni dopo a casa.
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Scrivere un diario di viaggio che parla di un’avventura durata un mese, non è stato facile, forse perché c’erano più cose da vedere che da scrivere, o forse perché le emozioni durante un viaggio sono difficilmente descrivibili su carta…o sul web.
Come si descrive la sensazione di pura libertà mentre guidi un’auto su una strada lunga e infinita nel bel mezzo dell’America , e non sai dove ti porterà? E’ difficile, se non impossibile se non lo vivi in prima persona.
Questo viaggio è stato un insieme di tante emozioni, scoperte, sensazioni nuove. Ma di una cosa sono certa, è il viaggio più bello della mia vita, per ora.
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